15 novembre 2016

Pray for Paris

Un racconto-riflessione liberamente ispirato all'attentato del Bataclan, avvenuto nella notte tra il 13 e 14 novembre di un anno fa.


Alle innocenti vittime di quell'insensata follia.

Dicembre inoltrato. Un venerdì sera freddo, buio e piovoso come non se ne vedono da settimane. 
Un uomo cammina lungo una strada deserta e poco illuminata, la testa bassa coperta dal cappuccio del giubbotto nero, con il bavero alzato a proteggere la faccia dalle violente raffiche di vento. Un borsone scuro pende dalla sua spalla destra, tanto pesante da rendere l’andatura dell’uomo un po’ sbilenca.

Contemporaneamente, in un piccolo 
appartamento dall’altra parte della città, due giovani studentesse stanno guardando la tv sul letto, avvolte da un morbido plaid. Hanno deciso di non uscire come al solito. Non hanno voglia di andare da nessuna parte, fa troppo freddo. La terza coinquilina, invece, vorrebbe andare ad una festa in un locale. È tutto il pomeriggio che discutono animatamente. Alla fine, però, la vena festaiola ha la meglio anche sulla temperatura glaciale. Le tre ragazze si preparano abbastanza velocemente e si avventurano tra le strade bagnate. Sono piuttosto gasate perché si prospetta loro una festa davvero bella. Ridono e scherzano, stringendosi nei loro cappotti e camminando veloci sui tacchi, cercando di scaldare le gambe scoperte. Non hanno infatti rinunciato alla minigonna, nonostante il gelo. Arrivate al locale della festa, lo trovano gremito. Ci sono un sacco di altri ragazzi della stessa età, che ballano e bevono. L’atmosfera è allegra, scaldata dalla musica e da fiumi di alcool che inebria. Tanti sono già brilli, qualcuno è addirittura ubriaco. Le tre si lanciano in pista, con i loro cocktail in mano e la voglia di divertirsi al massimo. Sono da poco passate le 11 e prevedono di andare avanti tutta la notte. Hanno l’energia dei venti anni, che le fa sentire invincibili.

Nel frattempo l’uomo continua a camminare nel vento, con il freddo che si infila fin dentro le ossa. Il borsone è pesante, la spalla inizia a fargli male, è stanco. Ma non si arrende. Prosegue, ostinato. Testa china e occhi fissi davanti a sé. Più il vento ulula e la pioggia si fa fitta, più lui avanza veloce. Sembra avere un obiettivo preciso.

Nel locale, il volume della musica si è alzato, c’è ancora più gente, continuano ad affluire persone. Le ragazze si sono separate, ognuna ha trovato qualcuno con cui flirtare, o meglio, farsi offrire da bere. Nessuna vuole andare oltre le chiacchiere, non  sono tagliate per gli amori da una sera e via. Però, non rinunciano mai a farsi offrire qualche drink da un bel ragazzo. In fondo, non c’è nulla di male a flirtare un po’. Si sono perse completamente di vista, il locale è grande e pieno, è abbastanza normale. A fine serata si rivedranno per tornare a casa insieme, parlando dei giovanotti che hanno conosciuto. Non immaginano cosa sta per succedere.

L’uomo si è fermato nella rientranza di un portone, al riparo dalla pioggia e da occhi indiscreti. Appoggia il borsone a terra. Riprende fiato qualche minuto. Poi apre il borsone e tira fuori un lungo cilindro nero. Lo guarda attentamente alla luce di una torcia. Lo accarezza lentamente, attentamente. È pensieroso. Sa bene cosa deve fare e spera di avere abbastanza coraggio da farlo. Dopo qualche minuto, rimette l’oggetto nel borsone, se lo rimette in spalla e si stringe ancora di più nel giubbotto. Esce e riprende la sua marcia, silenziosa ed ostinata. Le strade sono sempre più vuote. Rimangono in giro pochi ragazzi brilli e festanti, qualche clochard e altra gente poco raccomandabile. L’uomo non si accorge di quello che succede attorno a lui, completamente assorto nei suoi pensieri.

Nel locale, si continua a ballare. La musica è sempre più alta, frenetica e in pista c’è sempre più vita. Corpi sudati che si stringono, si strofinano, si fondono nel ritmo. L’alcool continua a fluire senza sosta. Tutti sono brilli, ubriachi o fatti. Infatti, qualcuno ha messo in circolo pasticche, acidi e altre droghe. Chi più chi meno, sono tutti in preda allo sballo. Si stanno divertendo tutti.

Ad un tratto l’uomo si ferma, proprio davanti ad un’insegna al neon che illumina tutta la strada. Dal borsone, estrae nuovamente il cilindro nero. È un kalashnikov.
Si guarda attorno un secondo, poi fa fuoco. I primi ad essere colpiti sono un gruppo di ragazzi che stanno fumando sotto una pensilina. Poi, i buttafuori. Una volta spianata la strada, l’uomo fa irruzione nel locale. Inizia a sparare a raffica, senza curarsi minimamente di mirare. La calca gli dà la sicurezza che comunque colpirà qualcuno. I ragazzi iniziano a fuggire da ogni parte, finendo con l’intralciarsi a vicenda. Tutti corrono come topi in trappola, alcuni troppo fatti per scappare si accasciano al suolo, accanto ai corpi di chi è già ferito o morto. Le mura del locale iniziano a tingersi di rosso, il pavimento è un lago. Qualcuno riesce a fuggire all’esterno, qualcun altro tenta di nascondersi. I ragazzi si rifugiano dappertutto. Dietro i divanetti del privè, negli armadi del guardaroba, dietro l’attrezzatura del dj. Ogni angolo diventa un possibile rifugio, ogni cosa un possibile scudo. La musica continua a suonare, il dj è stato freddato e nessuno l’ha spenta. L’uomo continua a ricaricare e sparare a velocità folle. Alla fine la pista è coperta di corpi, è impossibile distinguere i vivi dai morti. Allora, l’uomo inizia a mirare a terra. Vuole uccidere. Uccidere il più possibile. Quando ritiene di aver svolto il proprio compito, esce.

Il locale è adesso lugubre. La musica continua, sottofondo della carneficina appena avvenuta. Dovunque sangue, carne lacerata e dolore. Fuori, il vento ulula più forte e la pioggia cade copiosa, come a voler lavare via l’orrore della morte.  

13 novembre 2016

#cosamimanca: il cibo

Questo è il primo post di una rubrica nella quale mi piacerebbe raccontare tutte le cose che mi mancano quando sono a Milano.
Come da titolo, la prima cosa di cui voglio parlare è il cibo, che è tra le cose che mi mancano di più.
Sono un'ottima forchetta e amo mangiare, che per me vuol dire non solo nutrirsi fisicamente ma soprattutto appagare la mente soddisfacendo lo stomaco. A casa, questo succedeva quasi sempre, avendo una mamma e una nonna cuoche provette. Mia nonna, poi, ha sempre amato viziarmi preparando i miei piatti preferiti ed esaudendo ogni mio desiderio. Quando sono arrivata a Milano, però, ho dovuto imparare ad accontentarmi di quello che mi veniva servito in mensa, non sempre ottimo e mai all'altezza della cucina cui ero abituata, e di quello che si può cuocere con il microonde, visto che non ho a disposizione una cucina. Abituarsi non è stato facile, infatti non credo che riuscirò mai completamente a farlo. Anche adesso, dopo più di un anno, ogni volta che torno in Sicilia la prima cosa che faccio è addentare un'arancina e continuo ad abbuffarmi di piatti tipici tutti i giorni che rimango a casa. Mia mamma e mia nonna, poi, non fanno altro che chiedermi cosa vorrei mangiare per potermi sempre accontentare. Spesso, non chiedo nulla, perché so che mangerò sicuramente qualcosa di buono, semplice e genuino, preparato con il cuore e con ingredienti freschissimi, che la maggior parte delle volte provengono dalla campagna di mio papà . Questo mi manca più di tutto, sentire il sapore vero di alimenti realmente biologici, che ho visto coltivare, raccogliere e cucinare appena colti.
Un'altra cosa che mi fa venire nostalgia sono i piatti tipici di ogni festività o occasione. Infatti, in Sicilia ogni momento dell'anno ha un suo alimento, che viene preparato solo in quel periodo. A San Martino, per esempio, si fanno due cose che amo: gli inciminati, cioè pane arricchito con semi di finocchio che va poi "cunzato" (condito) con l'olio nuovo, e i biscotti di San Martino (morbidi o duri), anch'essi arricchiti da semi di finocchio.
C'è un cibo che però riesco a portare a Milano, così ogni volta che lo mangio posso tornare a casa. Sono i pomodori secchi sott'olio. Per me, rappresentano la quintessenza della mia terra: il colore mi ricorda il sole sotto al quale sono stati essiccati, il sapore salato rimanda al mare, l'olio nel quale sono immersi mi fa rivedere le immense distese di ulivi della campagna siciliana, infine il basilico che gli dà profumo mi fa tornare in mente il balcone profumatissimo di casa e le sere d'estate passate ad innaffiare le piantine..
Un altro profumo che mi riporta a casa è quello dell'origano, da sempre la mia spezia preferita. Mi piace annusarla, a volte lo faccio senza alcun motivo e ogni volta mi assale la nostalgia.
Potrei andare avanti a lungo, ma mi fermo qui e vi aspetto per il prossimo post, non mancate!

05 novembre 2016

Sfogo notturno

Avrei voglia di parlare, ma le poche persone con cui vorrei farlo dormono e in questi casi torna prepotentemente la voglia di scrivere. La carta non abbandona mai. A qualunque ora del giorno e della notte posso aprire un taccuino o una nuova pagina word o il blog, come adesso, e iniziare a buttare giù idee e pensieri, gli uni sugli altri, disordinati, ammassati, confusi. Tutto esattamente come nella mia testa.
Sto attraversando un periodo di transizione, cercando di abituarmi ad una nuova routine, a nuove persone, a nuove situazioni. Non è facile, anzi. Veder crollare le certezze che avevo faticosamente costruito l'anno scorso e pensare di doverne creare altre mi mette abbastanza in crisi. Non sono pronta e forse non lo sarò mai ad accettare il cambiamento nel momento esatto in cui esso avviene. Ho sempre bisogno di tempo e mi costa fatica. Eppure, nella vita tutto cambia continuamente e non c'è mai tempo per metabolizzare un cambiamento che ne avviene già un altro. Alcuni di questi sono sicuramente necessari, altri solamente inevitabili. Questi ultimi sono i più difficili da accettare perché spesso non dipendono dalla nostra volontà, ma da quella di qualcun altro che li impone senza via d'uscita.
Spero un giorno di cambiare anche io e adeguarmi a questo folle ritmo.

01 novembre 2016

Momenti solo tuoi


Milano, 30/10/2016, ore 00:04.
Sono tornata da poco a casa, dopo una serata molto tranquilla da un'amica. Quando entro in camera, mi sento opprimere e sento il bisogno di aria. Così mi tolgo il giaccone e, in punta di piedi, salgo al secondo piano per sedermi sulle scale antincendio. Rimango lì per un quarto d'ora abbondante, con solo un cardigan sulle spalle, a godermi il freddo autunnale, ancora non troppo pungente. Questa è la riflessione che ne è scaturita. 
Milano deserta


Certi momenti sono solo tuoi, fatti di solitudine, pace e silenzio. Dalle scale, ho guardato sotto di me la città silenziosa e quasi deserta, pochissime macchine e qualche raro pedone a interrompere la quiete.
Amo la notte per questo, per il silenzio che dà voce ai pensieri, che permette di dimenticare una vita piena di suoni che spesso mi impedisce di ascoltare la mia anima e la mia mente. Ho visto addormentarsi una città che durante il giorno sembra non fermarsi mai, tanto frenetica da dare l'impressione di non essere capace di dormire. Invece, quando si spegne, diventa altrettanto bella.
Nel silenzio, tutto cambia prospettiva. Ho visto passare un autobus, di solito sempre stracolmo, che però stavolta era semivuoto, sul quale sono saliti solo uno o due passeggeri. Quando è ripartito, la fermata è rimasta deserta e ho avuto l'impressione di essere l'unica persona ancora sveglia in tutto il quartiere. Poco dopo, però, sono passati due ragazzi a piedi. Chissà da dove venivano, chissà dove andavano.. Non lo so, posso solo immaginare. Forse erano ad una festa e stavano tornando a casa o forse stavano uscendo in quel momento.. Mentre fantasticavo, sono spariti dalla mia vista per proseguire dritti verso la loro meta.
A quel punto, un po' infreddolita, ho deciso di rientrare. Prima di chiudermi la porta alle spalle e tornare in camera, ho realizzato quanto anche un po' di solitudine possa fare bene e sembrare addirittura bella.